domenica 24 novembre 2013

Cristo Re


Oggi è la festa di Cristo Re e con essa si conclude l'anno della Fede, con una celebrazione suggestiva che vuole richiamare alle nostre menti il momento in cui siamo stati battezzati. Durante la rinnovazione delle promesse battesimali, si sono accese le candele, come capita il Sabato Santo. La fiamma viene alimentata da quella del cero pasquale. Il prete accende la sua candela e poi offre la luce al popolo. È un segno importante. Questo mi ha rammentato alcune parole di Gesù prima di consumare la Pasqua: “Sono venuto sulla terra per portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso!”


È il fuoco della fede e dell'amore. Senza fede non c'è vero amore e senza amore non c'è vera fede. Il sacerdote accende la sua candela con la fiamma del cero pasquale. È solamente Cristo che accende nel cuore dei credenti la fede, ma è il sacerdote che in quel momento, come ministro, lo rappresenta, quindi è lui che comunica ai fedeli la fiamma che accende le candele degli astanti. Dovremmo accenderci a vicenda nel cuore la fede in Dio. È una fiamma che non va soffocata, ma va comunicata.
Il vangelo di oggi, poi, c'invita a meditare sulla grande misericordia di Dio nei confronti dell'uomo. È il vangelo del buon ladrone. Forse toccato dal modo in cui Gesù sopporta il supplizio della croce ingiustamente, il ladro si converte. Difende Gesù di fronte al suo compare e fa la sua professione di fede: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”
Bellissima questa professione di fede che in una piccola frase racchiude la storia conclusiva di un uomo che ha rubato e ucciso. Nonostante il suo passato, ha fede nella misericordia di Gesù, comprende, al contrario dei Farisei, che il suo Regno è un regno spirituale del quale sta per varcare la soglia. Rende palese la sua fede in un momento estremo in cui sta pagando delle sue malefatte e viene esaudito. Per lui il paradiso si concretizza nell'oggi dell'eternità. E ci voleva tanta fede da riconoscere in quel corpo straziato un re!

venerdì 22 novembre 2013

Nel sociale, combattenti dell'amore

I cristiani devono impegnarsi nel sociale, non devono nascondersi nelle Chiese, intese come edifici, per pregare solamente e intanto godersi la tranquillità. Il cristiano deve impegnarsi per rendere la vita migliore, deve in qualche modo sporcarsi le mani. Lo fecero tanti santi in passato, basti citare il famoso e stimato don Bosco che seppe conquistare alla sua epoca i favori del ministro dell'Istruzione per la sua azione profondamente umanitaria. Il cristiano deve impegnarsi nella politica, non può lavarsene le mani, per paura di essere giudicato da persone senza scrupolo che in realtà, tante volte, troppe, trapelano la loro ignoranza. Einstain aveva detto bene: più si sa e più si ha la consapevolezza di non sapere, di avere molto da imparare. Così dovrebbe essere il nostro atteggiamento: essere scolari di una vita che ha sempre da insegnarci qualcosa. Il vero sapiente è davvero colui che sa di non sapere.
Il cristiano, insomma, non deve seguire un politico perché simpatico, ma perché si fa fautore delle idee della Chiesa. Non deve arretrare in nome di quei “Patti Lateranensi”: abbiamo tutti il diritto di affermare le nostre idee, anche i Cattolici. Chi nega la libertà degli altri, nega la propria e afferma la sua più profonda ignoranza e tirannia, pure in un clima di democrazia come c' è adesso.

E noi?


Il cammino del cristiano è tutt'altro che semplice, eppure non bisogna negare che sia entusiasmante intraprenderlo! Tutto il messaggio si concentra in questo concetto: Dio Padre ti ama. Gesù, rivolgendosi a Dio, lo chiama spesso con l'appellativo di “Dio Padre”. Lo chiama “Dio” perché comunque rimane il padrone delle nostre vite. A questo punto bisognerebbe addentrarsi in un discorso assai complesso riguardante il concetto di “libertà” che per adesso non voglio affrontare. Lo chiama “Padre”, ovviamente con la “p” maiuscola, perché è lui che ha donato a noi tutti la vita. Anche qui si potrebbe affrontare l'altro discorso un po' difficile sulla maternità di Dio. L'essere Dio implica tanti attributi, l'onniscienza, l'onnipresenza...ecc.... Insomma, come tanti salmi recitano, Dio sa tutto di noi: sebbene abbiano contribuito l'uomo e la donna nella generazione di un uomo, la decisione fondamentale della vita spetta a Dio. È in questo contesto che s'introduce il concetto importantissimo del matrimonio come sacramento d'amore e partecipazione all'atto creativo di Dio e della famiglia come cellula fondamentale della società. Non voglio affrontare questi discorsi importantissimi, lo faremo in un altro momento, desideravo soffermarmi su un altro pensiero. Siccome Dio è Padre, in teoria e poi in pratica, noi saremmo tutti fratelli. Spesso e volentieri facciamo esperienza che l'essere fratelli non implica un legame di sangue: le amicizie profonde, che tendono al completamento, alla condivisione reciproca, toccano vette sublimi che, a volte, non hanno niente a che vedere con i rapporti difficili tra persone che hanno lo stesso sangue. Vero è che i familiari non sono scelti da noi, mentre le amicizie sì. Non scordiamo che, ad ogni modo, l'amicizia si deve costruire giorno per giorno, superando le difficoltà, senza escludere dei confronti, dei litigi. Chi non litiga mai, in realtà, è perché uno dei due non si fa conoscere fino in fondo, non svela le sue idee e non si mette in gioco per timore di una rottura del rapporto... e qui, si dovrebbero fare tanti discorsi, tante riflessioni, su come in un rapporto si possa nascondere tanto egoismo... Interrompo qua e procedo con il mio discorso.

Proprio ieri sera un film poliziesco ha toccato un pensiero importantissimo: l'amore fraterno, il perdono reciproco, l'assenza di giudizio. L'amico del poliziotto si era convertito, dopo aver condotto una vita da ladro e malfattore, ed era diventato prete di una parrocchia che non lo accettava per il suo passato burrascoso. In quella comunità cristiana, emergeva il giudizio di condanna verso il parroco. È il pericolo che corrono tutte le nostre parrocchie e comunità. In un momento in cui il prete si trovava in difficoltà con i parrocchiani che lo stavano rigettando pubblicamente durante una funzione, il poliziotto che non era praticante, dal pulpito li ferma con una citazione di una frase di Gesù, richiamando un episodio bellissimo e commovente del vangelo: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!”. Anche nel film, i parrocchiani se ne andarono senza fiatare, lasciando in pace il prete. Dobbiamo riconoscere e discernere ciò che è bene e ciò che è male. Gesù non dice che l'uomo debba privarsi della capacità di giudizio che è propria dell'uomo. È una sua peculiarità. Dice, invece, che il giudizio non deve tramutarsi in condanna. Ciò è spiegabile anche umanamente: che vergogna riprendere il nostro fratello per una piccola colpa, per una svista quando magari noi abbiamo fatto di peggio. Tutti noi abbiamo bisogno di perdono, per questo motivo non dovremmo mai giudicare gli altri. Questo ci renderebbe ridicoli e senza alcuna affidabilità... È la storia del bue che dice all'asino “cornuto”. È la storia di Davide... La racconto per chi non la sapesse. Davide aveva ceduto alla tentazione della carne unendosi con la moglie di un soldato del suo Regno. Ovviamente alla donna non restava alcuna scelta. La Bibbia, invece, induce a riflettere sulla scelta di Davide. Egli, dopo aver appreso dalla donna che era rimasta incnta di un suo figlio, fa uccidere con l'inganno Uria, il marito. Egli si mette così la coscienza a posto, ma non ha fatto i conti con Dio che odia gli inganni e i soprusi verso i più deboli: si riprenderà quel figlio illegittimo. Davide piange molto per quel figlio, ma Dio vuole farlo riflettere e gli manda Natan, un profeta, che gli racconta la storia di un pastore che possedeva solamente una pecorella alla quale era ardentemente affezionato. Un uomo ricco che possedeva tantissime cose, s'invaghì di quella pecorella e la rapì, la portò via con l'inganno. Davide, sentendo quella storia, s'indignò molto e asserì: “Dimmi chi è quell'uomo, lo farò morire per l'ingiustizia fatta!”. E Natan si rivolse a Davide dicendo: “Quell'uomo sei tu!”.

Davide si pentì grandemente del suo atto ingiusto... Ma noi, ci rendiamo conto dei nostri inganni nei confronti dei più deboli o la nascondiamo dietro una cosa che A NOI pare giusta? Se sì, come possiamo osare criticare aspramente i nostri fratelli? Togli la trave che hai nel tuo occhio e ci vedrai bene per togliere la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello. Quanta psicologia c'è nel vangelo! Non è solamente un libro di Rivelazione!

sabato 16 novembre 2013

Umiltà...verità!

“La nostra meta non è di trasformarci l'un l'altro, ma di conoscerci l'un l'altro e d'imparar a vedere e a rispettare nell'altro ciò che egli è: il nostro opposto e il nostro completamento” – Herman Hesse

Desidererei riflettere su questa frase detta da Herman Hesse. “La nostra meta non è di trasformarci l'un l'altro”. Questo è importantissimo nei rapporti umani. Prima di tutto bisogna partire dalla conoscenza di se stessi. Tempo fa ho parlato del silenzio: il silenzio è una componente fondamentale nella conoscenza di se stessi. Se io mi assordo con musica, mass media, traffico e tutto ciò che crea rumore, non riesco ad entrare in intima relazione con me stessa e non potrò mai ascoltare le mozioni più profonde del mio cuore. Talvolta ci assordiamo perché abbiamo timore di ascoltare noi stessi, eppure questa è la chiave fondamentale del vivere bene con se stessi e con gli altri. Questo permette che non si abbia paura del diverso e che quindi si rispettino le idee altrui senza vederle come un'aggressione verso se stessi. La paura che abbiamo di noi si trasmette nell'altro. Siamo irripetibili, una creazione unica uscita dalle mani di Dio, perciò speciale. Dobbiamo cominciare a vederci con occhi diversi, realisti, accettando i nostri limiti e i nostri pregi. Non dobbiamo nascondere le nostre qualità dietro una falsa umiltà altrimenti, con il nostro comportamento attesteremmo che Dio con noi ha fatto un disastro unico, ha sbagliato tutto. Come possiamo pensarlo? Il salmista prorompeva in un grido di gioia: “Ti lodo, Signore, perché mi hai fatto come un prodigio... sono stupende le tue opere!”. Poi capita che usiamo male i nostri talenti e possiamo sbagliare, ed p proprio qui che entra in gioco l'umiltà: dobbiamo accettare di essere fallibili, di non avere un'intelligenza che possa abbracciare tutte le opzioni! L'umiltà, ricordiamoci, si basa sulla verità, su questa sola. Quando ci raccontiamo menzogne, l'umiltà affoga nel mare del nostro errore più grande: la superbia e l'ipocrisia, difetti che Gesù aborriva. Vero, perché se da una parte possiamo sprofondare nel vittimismo di una bassa autostima, possiamo anche cadere nella superbia più assoluta: ci capita, così, di criticare sempre gli altri, di tenere la nostra testa troppo alta e quindi di non accorgerci che esiste l'altra persona... figuriamoci se ci rendiamo conto che può avere opinioni diverse dalle nostre e magari anche giuste! Quindi, il vederci realmente come siamo, ci porta ad apprezzarci, ad amarci senza sottovalutarci o sopravvalutarci e di non volere di trasformarci l'un l'altro ma ad ammirare l'altro per le opinioni diverse, come completamento ed opposto.

martedì 12 novembre 2013

Il silenzio

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che Gesù insegnava con i suoi atti, parole e silenzi. Tutta la sua persona era tesa all'additamento delle qualità e degli attributi di Dio Padre e allo spronamento all'imitazione delle sue virtù. Desidero meditare con voi proprio sui silenzi di Gesù. Che tesori sono i Vangeli donatoci dagli Evangelisti. Pur essendo stati scritti “telegraficamente”, in modo che in essi non trapelasse né un'esortazione esplicita alla conversione che potesse sembrare un forzare la psicologia altrui a credere, né alcun giudizio personale che ovviamente sarebbe stato a favore del Messia, non si esauriscono in una sola meditazione. Lo Spirito Santo gioca, illumina alcuni aspetti in tempi diversi... questo per far comprendere al lettore la frase che Gesù rivolse a Pietro quando fece la sua professione di fede: “non per volontà di uomini hai compreso questo, ma perché ti è stato rivelato da Dio Padre.” 
Vero. Nessuno può dire che Gesù è il Signore senza l'aiuto e l'ispirazione dello Spirito Santo. Ovviamente l'orientale, come spesso ho ricordato, dava alle parole il significato più intrinseco e un'efficacia che i Romani non conoscevano: basti pensare al proverbio latino che affermava: “Verba volant, scripta manent”.
L'orientale, quindi, riempiva la parola del suo contenuto più profondo. Ancor oggi lo Spirito Santo afferma con le illuminazioni ed ispirazioni che ci dona quanto il suo agire sia fantasioso. Questo avviene attraverso la preghiera, ma non necessariamente. Gli eventi controllati da Dio Padre, possono essere le lezioni di vita in cui l'uomo deve imparare umilmente, lezioni che deve ascoltare, assimilare, fare sue e non subirle. Certamente, ribadisco, non è semplice. Bisogna imparare a farne tesoro piano piano. La sofferenza è inevitabile nella vita dell'uomo. Allora ecco i silenzi che Gesù ha usato durante la passione, il silenzio durante la preghiera e l'intimità con Dio Padre.  Su quest'ultimo tipo di silenzio volevo soffermarmi. Gesù cerca il Padre, vive la sua intimità con Dio Padre stando con gli apostoli e la gente bisognosa di amore, comprensione, guarigione. L'unità della Trinità in Lui diventa concreta. Nelle azioni di Gesù risplendeva l'amore del Padre. Il Figlio cercava l'intimità con il Padre nei lunghi momenti di silenzio nel deserto, in cui cercava la sua presenza. Mi piace paragonarlo all'amore umano, perché, in fondo Dio parla un linguaggio umano. Al momento della Creazione, Dio trova il coronamento del suo operato nell'uomo, unica creatura capace di interagire con Lui. Utilizza, perciò, un linguaggio comprensibile all'uomo, linguaggio costituito anche da silenzi, da atti che non si traducono in parole. Due fidanzati non hanno bisogno di tante parole, hanno bisogno di stare vicini, di comunicarsi l'amore reciproco con abbracci e con il contatto fisico. Così avviene con Dio. Il Cristiano cerca il contatto con Dio, stando davanti a Lui, ascoltando i suoi silenzi, accogliendo i suoi regali e persino le sue ammonizioni. Quando ci troviamo davanti a Lui, spesso sentiamo il bisogno di pronunciare tante parole ma non ci rendiamo conto che ciò che desidera di più da noi è la nostra presenza e il nostro silenzio, semplicemente per poterlo riempire del suo infinito... le parole infatti non possono contenere l'infinito di Dio, sono limitate da lettere, da concetti limitati rispetto alla grandezza di Colui che ha creato le stesse parole. Per questo motivo il Verbo di Dio ha utilizzato pure i silenzi e le azioni oltre alla predicazione...  Dio non poteva essere contenuto nelle povere umane parole.

giovedì 7 novembre 2013

L'amore di Dio

In questi giorni il vangelo che ci presenta la Liturgia della Parola della santa Messa, ci ricorda il grande amore che Dio possiede nei confronti dei peccatori, amore che anche un vero cristiano dovrebbe avere. Dio ha un forte desiderio di cercare il peccatore che si è perso nei suoi sbagli, lontano da Lui. Immaginiamo il cuore di un padre terreno che vede il proprio figlio farsi del male, quale ansia possa agitare il suo cuore e forte sia il desiderio di riportarlo a casa sua! L'amore di Dio Padre è ancora più perfetto. Cerca la pecorella smarrita e, felice, vuole festeggiare. Pensare che anche noi cristiani dovremmo fare festa se, finalmente, un peccatore ritorna inginocchiato davanti al Cuore di Dio! Quante volte invece facciamo attenzione più alle cose esterne, preferiamo tenere il bilancio dei peccati degli altri, piuttosto che spalancare le nostre braccia come ha fatto Dio con noi sulla croce!
Troppo spesso siamo come i farisei, ci sentiamo giusti, pensiamo di essere vicinissimi a Dio, semplicemente per il fatto che adempiamo alla legge del Signore. Come ho detto precedentemente, ci sentiamo giusti perché andiamo a Messa e preghiamo, magari versando qualche lacrima di compassione. Non è di certo questo che ci rende veri CRISTIANI.
Se guardiamo dentro di noi, veramente, ci rendiamo conto che, sentendoci giusti, non abbiamo più bisogno di Dio. Se Dio ritraesse la propria mano, noi saremmo sicuramente peggio degli altri. Preghiamo, vero, però il nostro cuore è lontanissimo da Dio. In modo assoluto. La nostra vita cristiana è un apparato esterno, il nostro cuore non è coinvolto realmente... e poi si può sentire compassione per gli altri ma questa rimane un semplice sentimento che non si traduce in atto concreto. Essa è assolutamente sterile. Dio infatti, ha provato santi come Madre Teresa di Calcutta, non facendole sentire la compassione. La compassione è buona, ma deve tradursi in atto concreto. Possiamo piangere quanto vogliamo davanti al dolore altrui, ma se non ci sporchiamo le mani, se non ci mettiamo in gioco, tutto ciò è vano!

Individualismo



Individualismo: la società di oggi è tutta impastata di individualismo, persino la fede. Ognuno la vive personalmente senza condividerla con altri, semplicemente recitando le proprie preghiere, assistendo alla santa Messa domenicale e stop. L'impegno del cristiano è terminato là. Oltre quel confine non si va. Invece noi tutti facciamo parte di un corpo mistico: la Chiesa. Essa non è costituita solamente dalla gerarchia ecclesiastica, ma da tutti i fedeli. Il Concilio Vaticano II si era espresso in proposito molto chiaramente: tutti noi facciamo parte del Corpo mistico che è la Chiesa e i laici sono come lievito che fa fermentare la pasta. Certamente! Inseriti nel mondo possono testimoniare efficacemente il messaggio di Cristo. In fondo Dio permise nel corso degli anni la diaspora, la dispersione dei cristiani per il mondo, affinché testimoniassero il Vangelo fino ai confini della terra. I Giudei, infatti, perseguitarono i cristiani: era un male, ma da ciò nacque un bene per la dottrina. Disperdendosi per il mondo, in Italia in particolare, la buona novella si propagò in tutto il mondo. I Romani erano molto tolleranti rispetto alle varie religioni, per cui finché i cristiani non si rifiutarono di incensare l'imperatore, poterono annunciare tranquillamente il vangelo, per poco tempo senza persecuzioni, tuttavia abbastanza da comunicare il fascino della sequela Christi.
Per vedere il volto di Cristo e sperimentare la sua misericordia, bisogna partecipare attivamente alla vita della Chiesa. Solamente così si può saggiare la misericordia di Dio, nessuno è un'isola. Non basta, perciò, andare a Messa di domenica, dire le proprie preghiere. Bisogna vivere l'amore per rendere viva la Chiesa.