domenica 28 agosto 2011

Il rispetto nelle chiese

Ho toccato più volte questo argomento, ma non mi sembra mai troppo, visto le grandi irriverenze che si compiono. Vorrei raccontarvi prima di tutto un'esperienza di padre Pio. Era l'ora di cena e Padre Pio, con il permesso del Superiore, erain chiesa apregare quando ad un tratto sente un rumore provenire dall'altare maggiore. Pensando che fosse il sacrestano, lo chiama redarguendolo di essere là. La voce, però assicura di non essere il sacrestano e racconta di essere un frate che aveva fatto il noviziato in quel convento e che adesso si trovava là per scontare la sua irriverenza nei confronti del Santissimo Sacramento, commessa mentre spolverava l'altare maggiore. Questo dovrebbe indurre a riflettere su come il sentimento di un istante possa incidere sull'eternità se non ci si pente e non si sconta.
Dalla constatazione di molte irriverenze, viene spontaneo domandarsene il motivo. Cosa sta accadendo? Stiamo assorbendo troppo la mentalità del temo, della nostra società. Nella società l'autorità ha perso totalmente o quasi il potere, anche quando si parla di famiglia.
!Io vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio Vostro" All'epoca il padre aveva un grande potere... Ma Gesù puntualizza bene che è Padre, ma è pure Dio! 
L'amore per l'uomo l'ha spinto a prendere sembianze umane e lo ha spogliato della sua stessa dignità, o almeno del concetto che abbiamo noi di dignità. Basti pensare alla Sua Passione. Chi avrebbe detto che era Dio? La Sua passione si perpetua nei Tabernacoli dove viene dimenticato, offeso pure dai suoi discepoli. Così come allora viene spogliato della sua divinità.
Ecco, forse, qual è il nocciolo della questione: nei nostri atteggiamenti, non lo riconosciamo pienamente Dio e non comprendiamo che tra noi e Lui c'è una certa distanza, riempita, invero dal suo grande amore.

giovedì 25 agosto 2011

La santità è vivere la propria vocazione


Santa Teresina di Lisieux aveva usato un’immagine pratica per rappresentare la realtà del Regno di Dio: l’aveva paragonata ad un grande giardino composto da una grande varietà di tipi di fiori. Tutti possiedono una bellezza particolare che è propria. La violetta non ha nulla da invidiare alla rosa. San Francesco di Sales aveva parlato senza metafore: ognuno ha la sua vocazione e per santificarsi deve viverla in modo profondo. Una mamma non può santificarsi stando ore ed ore in chiesa trascurando i suoi doveri familiari; così come una monaca di clausura non può attendere alle cose del mondo! Verissimo! Io, però, a questo aggiungerei il fatto che ognuno deve santificarsi con il suo carattere e i suoi modi di fare. Il prete che non appartiene a nessuno Ordine, e quindi è detto secolare, è tenuto ad organizzare la parrocchia, a stare anche con la gente, a partecipare ad alcuni intrattenimenti mondani, però non assolutamente eccedere, ma richiamare la gente a Cristo e dare un’immagine di sé sobria, da uomo di Dio.
Sarebbe bello che il prete avesse la talare. Non è così giusto che adduca come scusa il fatto che per evangelizzare deve farsi pari dei laici. Il prete possiede un carattere unico ricevuto nel Sacramento dell’Ordine. Deve perciò riappropriarsi della sua identità.

È vero che tutti i fedeli devono partecipare al sacerdozio di Cristo come ha detto un documento del Concilio Vaticano II, ma il Sacerdote ha ricevuto un potere che è suo, esclusivo: rimettere i peccati e consacrare il pane e il vino.

Ugualmente i consacrati, non devono conformarsi alla mentalità del secolo, ma devono essere segni efficaci della realtà escatologica nel vivere i tre voti più pienamente possibile e testimoniare la carità.
Si racconta di tanti preti e frati che vanno in discoteca per motivi di apostolato. Bisogna valutare se questa non sia una scusa, o sia motivo di perdizione. È vero che i più grandi santi hanno cercato i più poveri e miseri e hanno condiviso con loro la sofferenza, e la più grande povertà del mondo occidentale è l’ateismo, la ricerca sfrenata del piacere e divertimento… Ma si deve essere onesti con se stessi: riesco a fare quell’apostolato?

Spesso mi sono giunte parecchie critiche riguardo a questo nuovo papa, soprattutto di chiusura, di essere retrogrado. Non condivido queste polemiche. Penso che ciascuno abbia il suo carattere e non deve imitare quello degli altri, deve usare il suo per santificarsi. Benedetto XVI ha dimostrato una grandissima umiltà, in quanto non ha cercato di imitare il suo Predecessore, ma si è mostrato nella verità, quello che veramente è. Perciò, anche noi, non dovremmo mai fare confronti, dobbiamo rispettare i vari caratteri senza desiderare modificarli. Questa è volontà di Dio e santificarsi con gli strumenti che lui stesso ci ha donato.

martedì 23 agosto 2011

La carità

Ciò che rende speciale un qualsiasi nostro sentimento o azione è la carità. Essa è quel motore he fa muovere ogni cosa e che con la sua sola forza rende speciale e sacro anche le gioie! Ecco perché bisogna rivalutare in modo positivo la parola "sacrificio". Questa parola ha assunto un aspetto per lo più negativo e con ciò perché ha tali radici nel passato.
L'uomo, nel corso della storia, ha sempre offerto sacrifici per propiziarsi le divinità. Prendeva qualcosa di suo e lo offriva agli dei. Sottrarre qualcosa ai propri beni, all'epoca, era sul serio una rinuncia gravosa, un togliersi dalla bocca il pane. Ma l'uomo percepiva  assai la sua provvisorietà: la mortalità era molto alta e spesso non se ne conoscevano le cause. Era insito, nella mentalità dell'uomo che esistesse qualcuno più grande di lui che aveva in mano le chiavi della vita e della morte e si preferiva propiziarsi il favore di quella divinità sconosciuta.
Talvolta mi domando se questi uomini primitivi avevano avuto delle visioni delle anime dei morti! Non dubitavano dell'esistenza dell'aldilà! Come invero l'uomo contemporaneo dubita... Ne aveva una vaga percezione, forse qualche manifestazione ci sarà pure stata!
E non si può nemmeno dire che l'uomo primitivo fosse evoluto, imbevuto di concetti filosofici come possiamo esserlo noi. In fondo lo vediamo anche nella crescita dell'uomo. Il bambino che ha una vaga percezione della morte, non certo come l'ha un adulto, ha invece una concezione innata di Dio ed è più aperto ad un discorso religioso.
Il concetto di offrire un sacrificio per attirare la benevolenza degli dei, è presente nel profondo della psicologia umana.
"Occhio per occhio, dente per dente" vale anche per i cosiddetti favori... In fondo tutta la nostra società, nel suo complesso, è basata su questo: "Tu dai una cosa a me ed io a te".

Se riflettiamo, anche la base della primitiva economia era fondata sulla pratica del baratto. E' innato nell'uomo il concetto di proprietà e il privarsi di qualche cosa a quei tempi, era un po' come fare un salto nel vuoto, ovvero non avere più qualcosa che costituisce la vita e che l'alimenta. Il dare agli dei un qualcosa di veramente importante come può essere un animale, senza avere nemmeno la certezza di essere esauditi, era grama!

Gli Ebrei offrivano in sacrificio degli agnelli per espiare i propri peccati. In questo contesto s'inserisce il sacrificio di Cristo: offre tutta la sua vita per riscattarci. Culmine dell'offerta è la Passione, il patire gli insulti, la sofferenza fisica. Sembra un po' seguire la legge del contrappasso che Dante ha usato nella Divina Commedia: il peccato dei progenitori ha procurato loro un piacere. Per espiare il piacere, ecco che Gesù ha utilizzato la sofferenza come mezzo espiatorio e di santificazione. Il castigo è stato tramutato in strada per andare in Paradiso. Dio ci ha amato davvero tanto: con Gesù ci ha spalancato le porte del Paradiso.
Ecco, si unisce tutta la vita a quella di Cristo e quindi anche la gioia diventa un sacrificio....

lunedì 22 agosto 2011

Accettare le sofferenze, offrire sofferenze e gioie!

Una mistica domandò a Gesù cosa poteva fare per riparare tanti peccati e Lui le rispose che doveva accettare le sofferenze e le gioie della sua vita e saperle offrire al Signore. E' da notare che le domandò anche le gioie. Non bisogna offrire solo i dolori ma anche le gioie! Viverle intensamente, sapendole offrire per il riscatto dell'umanità. Vivere la gioia cristianamente non è così scontato ed è da notare che non tutte le gioie sono cristiane. La contentezza può nascere da cose negative: dalla soddisfazione di qualche capriccio; da un piccolo insuccesso altrui. Dobbiamo valutare bene se qualche gioia non provenga dall'egoismo! Se fosse così non siamo tenuti ad accarezzarla. La vera gioia, come diceva un bellissimo canto di Marco Frisina, nasce nella pace, nel bene che possiamo fare agli altri. Quindi bisogna setacciare anche la gioia... ecco perché il Signore rispose a Gesù in tal maniera.

domenica 21 agosto 2011

Sete di penitenza


L'amore è sacrificio. La parola sacrificio assume un significato che evoca rinuncia, insomma... qualcosa di negativo. La vera etimologia della parola indica questo: "rendere sacro". L'amore ha il potere di rendere sacro qualsiasi cosa, anche la più piccola e quella che a noi pare più insignificante. Santa Virginia abbracciava ogni più piccola sofferenza in spirito di penitenza per amor di Dio. Accettava ogni tipo di cibo senza esprimersi sul gusto; accettava ogni presa in giro e sgarbo facendo ulteriori penitenze; riparava i possibili peccati delle sue assistite.

Purtroppo con il tempo, lo spirito di penitenza e di umiltà, si è come appannato riflettendo la mentalità del tempo che valuta importante l'affermazione di sé in ogni ambito della nostra quotidianità e del nostro vivere. E' quindi cambiato il modo di fare penitenza. Un tempo c'erano penitenze dure, pesanti, sostituite poi da alcune che, in fondo, se ci riflettiamo, tanto leggere non sono. Riguarda la vita fraterna che si contrappone alla mentalità individualista del nostro tempo. 
Tuttavia, azzardo ad affermare che eliminare totalmente ogni genere di penitenza, è sbagliato!
Ce ne sono di piccole che non disturbano o fiaccano la salute e irrobustiscono lo spirito, lo allenano a fare un bel salto in alto... sempre più in alto... e senza accorgercene, come hanno fatto tanti santi, riusciamo a toccare il cielo in misura di quanto siamo umili. Il Vangelo non è cambiato con il tempo e Gesù ci ha messo in guardia dai falsi profeti. Un falso profeta può essere il mondo. Il mondo addolcisce a proprio comodo il Vangelo. Alcune parti di esso vengono cambiate, addolcite.

martedì 16 agosto 2011

Contemplazione del Crocifisso


Come ho già detto, contemplare la Passione può portare prima o poi alla conversione del cuore. Possedere la spiritualità del Crocifisso, significa avere il cuore pieno di un amore oblativo. Gesù aveva desiderato ardentemente bere il calice della Passione per la salvezza dell'umanità. Ciò che animò Gesù era l'amore per l'uomo, il desiderio di riacquistarlo alla pace del Suo Regno. Egli quindi amò profondamente soprattutto i peccatori e si faceva vicino a tutti i dolori umani; non risparmiò la sua reputazione... In realtà noi dovremmo mirare non "a diventare santi", cioè per ricevere la ricompensa del Paradiso, ma semplicemente a portare anime a Dio, cooperare al Suo piano di salvezza, unendoci alla Sua passione.

Nei vari Santi, la contemplazione della Passione si è concretizzata assumendo diverse sfaccettature. Continuiamo ad approfondire questo nella vita di Santa Virginia e in altri Santi canonizzati dalla Santa Chiesa.

lunedì 15 agosto 2011

Abbandonarsi in Dio



Nella vita, pure negli avvenimenti tragici e dolorosi, sperimentiamo la provvidenza di Dio. C’è un disegno particolare che ne rivela la sua sapienza, disegno che non trascura nemmeno gli aspetti concreti dell’esistenza. Questa sapienza che si lascia intravedere, percorre strade che paiono difficili e faticose; eppure esorta l’uomo ad abbandonarsi alla sua volontà perché conosce meglio  di qualsiasi altro il bene per il cuore dell’uomo.

L’abbandono in Dio risulta difficile perché esige l’affidamento ad un’altra intelligenza che spesso ci pone progetti diversi da quelli che possediamo nel nostro cuore. Questo rimane ancor più difficile, quando il disegno che si svela ai nostri occhi prende l’aspetto di una malattia e di una morte, così come anche di una derisione o di un tradimento.

domenica 14 agosto 2011

La morte


Riflettendo seriamente sulla morte, mi assalgono alcuni pensieri contrastanti. È un evento che segna profondamente e che, comunque, interroga e scuote le coscienze degli uomini. Come poter vivere allontanando questo pensiero così inevitabile? Vorrei chiedere a colui che si dichiara “ateo”  cosa crede ci sia dopo la morte. Tante volte si risponde che è un evento naturale e, con questo pensiero, si consolano… ma forse rimangono alla superficie del fenomeno, non entrano nel suo significato profondo e nella sua essenza, con annessi cause e effetti. Rimangono in superficie senza rimirarne il fondo e quindi senza mettersi in discussione. Non avviene quella crisi così salutare che induce l’uomo a interrogarsi sul suo destino ultimo. Tutto rimane così offuscato da una sottile nebbia che non permette di entrare nel mistero e quindi al cuore di aprirsi alla fede. Il cuore rimane chiuso nel suo “carpe diem” che lo soddisfa all’istante senza preoccuparsi di ciò che potrà accadere. Ma… riflettendo… forse sto per dire delle pazzie, seppur nella natura la morte rientra in uno schema applicabile a tutto e quindi scontato, non è naturale alla mente e al pensiero dell’uomo e lo dimostra col solo fatto di allontanarne il ricordo o di rimanerne alla superficie!

Forse, inconsapevolmente, sono entrata in concetti filosofici… che, tuttavia, inducono a pensare come in realtà, la morte sia così innaturale per la mente dell’uomo, così, come è innaturale per il corpo. È facile, a questo punto, dimostrare pure, come sia naturale la resurrezione!
Siccome l’anima e il corpo sono inscindibili, anche il corpo come l’anima, è proiettato nell’idea di eternità: ciò dimostra come la morte sia entrata violentemente nel vissuto dell’uomo e come anche il corpo condivida l’anelito d’eternità che è proprio dell’anima.

sabato 13 agosto 2011

L'esperienza del lutto

La vita di santa Virginia fu segnata profondamente da due lutti: entrambe decretarono un cambiamento radicale nella sua vita. Santa Virginia perse la mamma durante la sua infanzia e questo segnò una tappa fondamentale: a lei aveva affidato la confidenza di volersi fare monaca. Nessuno poté aiutarla quando suo padre la promise sposa irrevocabilmente a Gaspare Bracelli. Questo lutto che la impressionò e la fece soffrire assai, la consegnò al marito, ad un marito, invero,un po' scavezzacollo, che la fece penare. Il secondo lutto fu proprio la perdita del marito: questo segnò un'altra tappa fondamentale della sua vita

martedì 9 agosto 2011

La Sacra Scrittura


Una passione di S. Virginia era senz'altro la Sacra Scrittura. Riflettendoci su, essa deve diventare oggetto di riflessione e meditazione per tutti i cristiani. Vi è ancora pericolo, come ai tempi di santa Virginia, che la Bibbia sia oggetto di interpretazione personale, tuttavia questo non ci deve bloccare nel leggerla e meditarla. Un esempio è la corrente del modernismo che concepisce un'idea di Dio molla, escludendo alcune parti del Vangelo e quindi arrivando a negare alcune verità di fede.
Una fidanzata che riceve lettere dall'innamorato, le custodisce, le legge e rilegge per riportare alla sua mente il pensiero del fidanzato. Così dovremmo fare noi con la Sacra Scrittura. In essa c'è la presenza di Dio, il Suo pensiero. S. Girolamo abate asseriva che “l'ignoranza delle Sacre Scritture era ignoranza di Cristo”, ma io desidero proporvi un'altra riflessione: “Se non senti l'esigenza di leggere la Sacra Scrittura, non desideri nemmeno incontrare Dio”. La lettura della Sacra Scrittura è la porta per la contemplazione.

lunedì 8 agosto 2011

La croce della sua discendenza

Santa Virginia apparteneva ad una famiglia nobile, quella dei Centurione. Nacque nel 1587, quando ancora si combinavano i matrimoni, che erano dei veri e propri contratti. Giorgio Centurione non perse tempo! Accanto a loro viveva un bambinetto di 3 anni che apparteneva alla ricchissima famiglia Bracelli: Gaspare. Giorgio cominciò a trattare il matrimonio della figlia in fasce con il piccolo di 3 anni. La famiglia di lui, considerando la dote esigua rispetto al patrimonio di Gasparino, poneva tanti ostacoli al matrimonio dei... lattanti. La croce dell'obbedienza risplendette nella vita di santa Virginia appena ella si affacciò alla luce...Certo, una croce inconsapevole che poi prese corpo e si concretizzò quando compì 15 anni. Se fosse stata un "mostro", fisicamente o spiritualmente, Virginia, forse, si sarebbe salvata dal matrimonio e la famiglia Bracelli si sarebbe opposta risolutamente alle nozze... Scuse plausibili: patrimonio esiguo e l'aspetto orribile! Ma, siccome il Signore si serve di cose umane, Virginia era bellissima, dotata di virtù e grazia! Il che offuscò la dote esigua. Andò, quindi, sposa alle soglie dei 16 anni, non senza sacrificio personale. Sappiamo infatti che espresse alla mamma il desiderio di entrare in un convento. La mamma che era a conoscenza degli intrallazzi del marito, non rafforzò la figlia nel proposito, ma le disse che se ne sarebbe riparlato quand'ella avrebbe compiuto 20 anni, perché non si era mai sentito che qualche convento avesse accettato come postulante bambine di 9 anni. Sembra quasi l'eco della vita di S. Teresina di Lisieux, la quale espresse alla Madre Maria Gonzaga il desiderio di entrare nel Carmelo di  Lisieux. Entrambe non furono accettate a 9 anni, ma, entrambe cominciarono i primi passi della loro vocazione a 15 - 16 anni. Virginia era sicuramente orientata alla spiritualità francescana, a differenza di santa Teresina alla quale "strinse il cuore" quando andò a trovare sua sorella Leonia dalle clarisse... Ma entrambe amarono la natura e la povertà.
Ritornando a Virginia, ella pianse molto quando il padre l'informò della sua scelta, di maritarla con Gaspare: la mamma le aveva promesso che sarebbe entrata in monastero a 20 anni. Ciò non fu possibile perché la madre morì prima. Tuttavia, nella biografia si racconta che Virginia si preparò al matrimonio pregando. Pianse nuovamente, tanto da togliersi il trucco dal volto, prima del matrimonio, quando si raccolse in preghiera davanti al Crocefisso. Sentì infatti un vago rimprovero che sonava così: "Virginia, tu mi lasci per un uomo!" Si può immaginare il dramma che si svolse nel cuore di Virginia, la pena che la divorò in quell'istante! A volte, a distanza di anni, si sente il rimorso per aver fatto in qualche modo del male ai genitori ai quali si deve rispetto per averci donato la vita, figurarsi di fronte all'amore di Dio! Questo per far comprendere quanto possa essere stato drammatico quel momento per Virginia, una donna così religiosa.
Quindi la croce della sua discendenza, croce a cui si potrebbe dare il nome di obbedienza.

domenica 7 agosto 2011

Santa Virginia Centurione Bracelli

Come ho già detto, tante donne hanno contemplato la Passione di Cristo. Hanno vissuto esperienze mistiche molto profonde. La Croce, in effetti, è l'espressione più alta dell'amore di Dio. Spesso, quando si soffre, si trova fiato e spazio per recriminazioni di ogni genere: la sofferenza, sia fisica che morale, fa male. Gesù, però, c'insegna che bisogna andare oltre, prendere il largo, navigare in alto mare, dove l'acqua è più profonda e pulita e tutt'attorno a noi è avvolto dal silenzio più profondo, rotto solamente dallo sciabordio delle onde contro la barca. Oggi stesso, domenica 7 agosto, nel Vangelo secondo Matteo (14,22 - 33), si narra di un fatto particolare: Gesù compie un miracolo ma non volto alla guarigione di qualcuno; semplicemente cammina sulle acque. Nell'interpretazione corrente di questa pericope, si accosta il simbolo della barca, a quello della Chiesa che percorre il mare del tempo, lottando contro le onde ed il vento contrario, cioè la mentalità opposta del mondo. Gesù durante la sofferenza più cruda della Sua Passione, non recrimina, tace, accetta, ama la sofferenza e perdona i Suoi crocifissori. Così fecero anche i santi. Certo, la forza è stata data loro da Dio stesso: hanno camminato e sono cresciuti nella fede con il tempo, non sono nati già santi! E meno male, aggiungo io!!! Quando ero piccola e leggevo la vita dei santi, mi parevano dei giganti e che fossero dotati di doni straordinari fin dalla più tenera età. Ahimè, non era certo per me la santità! Eppure Gesù quando affermava di seguirlo, lo diceva a tutti i comuni mortali... Ma quando leggevo la vita dei santi... Ecco che uno mentre pregava cominciava a prendere il volo... va bene, risparmiava sul biglietto dell'aereo, ma poi, a me, che serviva se, quando pregavo, invece di volare, tante volte cascavo dalla sedia che era troppo alta per me?
Oppure si raccontava di santi che cogliendo le campanelline, cioè i fiorellini, suonavano...Ahimè, il più delle volte, pur amando gli animali, quando coglievo fiori in campagna, dalle corolle ne usciva ronzante un'ape tutta inquieta per averla disturbata ed io ero costretta a fuggire a gambe levate... altro che sonar di campane!
Leggendo quei libri infatti sembrava che la santità fosse legata a questi fatti prodigiosi...No, affatto... per fortuna! La santità è legata all'amore, averlo nel cuore è un miracolo da parte di Dio, visto il nostro egoismo. Certo, questo esige una risposta costante ed eroica da parte del santo. Forse è più facile suonar una campanellina che amare con abnegazione il prossimo ed il nemico!
Santa Virginia possedeva questi doni straordinari, ma nella sua biografia splende anche la sua fragilità umana. In breve, la sua vita si dipana in una serie di colpi di scena, come ad esempio il matrimonio con Gaspare Bracelli, accettato per obbedienza e poi vissuto con adesione sincera e amore vero, poi la vedovanza a soli 20 anni e quindi la decisione di non contrarre più il matrimonio per appartenere solamente a Cristo. Da ciò comincia la sua attività caritativa indefessa, volta principalmente alle ragazze di strada.Era una santa dotata di questi doni straordinari, ma erano pochi rispetto all'attività caritativa che svolse nella sua città grazie all'amore di Dio di cui era colma. Nelle biografie non vi è narrato il suo travaglio interiore, che rimane nascosto: di lei ci rimangono solo alcuni propositi scritti, che rivelano una spiritualità profonda ed intensa, basata sulla Sacra Scrittura ed un colloquio aperto con Dio.Attingeva la sua forza nella contemplazione del Crocefisso: era una donna contemplativa e attiva nel medesimo tempo. Adesso, passeremo a riflettere su quale fisionomia prese la croce nella Sua vita.

giovedì 4 agosto 2011

Le sante che hanno contemplato la Passione

Ricordo di aver letto qualche tempo fa, un racconto avente l'imprimatur da parte della Chiesa di una visione di un'anima dannata. Quest'anima attestava il grande odio di satana e delle anime perse per la passione di Cristo e affermava che qualsiasi persona che la contempli, finisce per amare Dio. Ecco il grande potere della Passione di Cristo: ella induce ad amare, converte... pensiamo alla grande e diabolica opera del diavolo quando si è chiesto di togliere il crocifisso dai luoghi pubblici! Numerosi santi sono diventati tali contemplando la passione: ad alcuni è stato concesso di condividere la passione stessa con le stigmate. Come non ricordare san Francesco, san Pio da Pietrelcina, santa Rita da Cascia, santa Gemma Galgani! Non solo: ce ne furono altri che che si abbeverarono a quella inesauribile fonte d'amore e la condivisero con altri: Anna Katherina Emmerich, santa Brigida, santa Faustina Kowalska, santa Virginia Bracelli. Esse si sono abbeverate a quella fonte eterna e ai piedi del Crocefisso, hanno imparato a mettersi a servizio dei fratelli, ad accettare ogni sofferenza nella propria vita con amore e per amore del prossimo e delle anime pi derelitte, associandosi ai Suoi patimenti per la salvezza dell'umanità.

mercoledì 3 agosto 2011

Maria e le donne durante la Passione

È chiaro che pure Maria partecipò alla nostra redenzione: al momento dell'annunciazione, Ella accettò il Verbo di Dio nel suo grembo. Accettò qualcosa di più grande di Lei, rischiando la morte stessa, fidandosi ciecamente di Dio. Il Suo cuore Immacolato era talmente grande che poteva accogliere l'amore infinito di Dio, in quanto Lei stessa era testimone della vita di Dio. Ella era umile, profondamente radicata nel Suo Creatore: tutto ciò che di buono aveva, secondo Lei, era di Dio: perciò Egli si chinò su di Lei e stese la Sua ombra, la potenza dell'Altissimo. S'immerse nella Sua umiltà perché già il Suo cuore gli apparteneva e non era altro che un riflesso del Suo amore. E seguì Gesù durante tutta la Sua passione, anzi, patì Lei stessa con Lui: un dolore immenso, vedere il Figlio che pure non aveva fatto altro che del bene, soffrire così indicibili tormenti. Era un cuore di Madre, e se una madre “comune” con il cuore avvolto dagli egoismi, soffre ugualmente nel vedere la sofferenza del proprio figlio, figurarsi un cuore di Madre alieno da ogni forma di egoismo, compassionevole, come era il cuore del suo Figliolo, il quale, appena vedeva qualcuno soffrire, si muoveva a compassione e guariva, cibava, ammaestrava la folla che lo seguiva. Ma non ci fu solo Maria a seguire Gesù fino al Golgota: pure altre donne lo seguirono, piangevano per Lui, desideravano asciugare il Suo Volto dal sangue ed alleviargli almeno un po' le sofferenze: la donna è più capace di soffrire, è più profonda nel suo sentire.

martedì 2 agosto 2011

La croce è amore e salvezza

La croce e la sofferenza non sono fini a se stesse. Non è puro sadismo né tanto meno masochismo: siamo creati per la felicità e ad essa dobbiamo tendere. Chi vive già in questa vita le beatitudini e la pienezza della vita spirituale, pregusta già la gioia della vita eterna. Viviamo per amore: siamo venuti al mondo per un atto d'amore. La famiglia è una concretizzazione della vita trinitaria. L'amore fra i due coniugi è spirituale, coinvolge la mente, lo spirito ed anche il corpo: si materializza, prende corpo nel figlio, frutto dell'amore coniugale. La vita, perciò, è frutto di un amore. È da riflettere, però, come la vita nasca tramite la sofferenza. Il parto è infatti un atto molto doloroso: tanto tempo fa le donne (ancor adesso, in taluni casi) ci lasciavano anche la vita. Atto doloroso e pure rischioso... ma dà la vita ad un altro essere.
Tramite Adamo ed Eva la sofferenza è entrata nella vita dell'umanità: Dio, però, è la fonte della speranza: ciò che sembrava un castigo, Dio l'ha tramutato un mezzo di salvezza e un atto profondo d'amore, e perché l'uomo non si scoraggi, non ha tardato ad essere il primo a dare l'esempio. Sa che l'uomo è debole e il debito che aveva contratto con il peccato originale era immenso, impossibile a pareggiare con il sangue di tori e di capri... e nemmeno con la nostra stessa vita. No, lo dice un salmo stesso: “Non potrà mai bastare per non vedere la tomba”. La nostra stessa vita non sarebbe bastata: ci voleva il sacrificio di una vita veramente santa, immune da ogni peccato. Ci volle il sacrificio del Figlio di Dio. Non ci voleva null'altro.
La speranza di cui ci ha colmato Dio, è quella di donarci la sofferenza, cioè quello che sembrava essere un castigo, come mezzo di redenzione. E fu Lui, il Figlio di Dio che l'affrontò per primo: si sottopose alla più grande ingiustizia, mai più capitata... Sì, perché, non dimentichiamo che anche il più innocente bambino di questa terra, lo è sempre meno del Figlio di Dio.
Ecco, quindi, che Gesù abbraccia la croce, la bacia, l'accetta e la ama ardentemente, perché ama appassionatamente l'umanità e la vuole portare all'innocenza originaria. La croce diventa strumento di salvezza ed espressione più alta dell'amore...